Venerdì 22 aprile 2022
Spazio Contemporanea
special program & performance / 16mm, Super 8
LA MECÁNICA DE LA LUZ
a cura di (S8) Mostra de Cinema Periférico e AA++
Ingresso gratuito fino a esaurimento posti
LA MECÁNICA DE LA LUZ
(LA MECCANICA DELLA LUCE)
a cura di (S8) Mostra de Cinema Periférico e AA++
Presentato da Elena Duque con una performance di AA++ – Ángel Rueda e Ana Domínguez
Se il cinema esiste è grazie all’invenzione di un sistema di dispositivi meccanici che catturano la luce e impressionano la pellicola e che, successivamente, in un’operazione di ritorno, emettono luce per proiettare ciò che su quella pellicola è stato impresso. Un insieme di alleati che lavorano nell’ombra (mai detto meglio), che raramente lasciano che i loro meccanismi e processi si vedano sullo schermo. Meccanismi invisibili che propiziano la visione, al servizio di ogni tipo di scopo. Una condizione su cui Ken Jacobs ci invita a riflettere attraverso queste parole:
“Dopo le primissime proiezioni pubbliche, i proiezionisti sono stati addomesticati e il gioco con la regia e il tempo ha lasciato il posto all’assorbimento ininterrotto dei contenuti. Il cinema è stato relegato ad essere un mezzo di trasporto lineare e a velocità fissa (prendi quella star! trasmetti quella storia!), ci si aspettava che il meccanismo rimanesse nell’umile invisibilità e non interrompesse la trance. L’invisibilità sarebbe stata portata ancora più in là con invenzioni come il suono sincronizzato, lo schermo panoramico a colori e il 3D realistico… Da qualche parte in mezzo a tutto questo c’è il cinema, seduto insieme al tramonto, entrambi a chiedersi perché quasi nessuno viene più a vederli fare le loro cose”. (Dichiarazioni di Ken Jacobs in Cinema Expanded, di Jonathan Walley)
Una parte dell’idea che sta alla base del programma intitolato “La meccanica della luce” consiste nel tornare al momento in cui l’attrazione era l’invenzione stessa e la fonte di meraviglia coincideva con il funzionamento della macchina. L’altra parte del programma consiste nella messa insieme di una serie di pellicole che partono da una coscienza auto-riflessiva e che esplorano il mezzo mettendo in gioco i suoi strumenti principali (in alcuni casi anche nei quadri). Andiamo, quindi, a vedere la macchina “fare le sue cose”, andiamo al cinema a vedere il cinema.
Questo programma ha come oggetto la camera da presa, in una serie di film che alludono in modi diversi all’apparecchio e ai suoi meccanismi. La cinepresa è essenzialmente una scatola buia, al cui interno la luce penetra attraverso una lente e in cui una striscia di pellicola viene esposta grazie ad un sistema di trascinamento. A partire da qui, si sommano elementi come il diaframma, l’otturatore o il mirino. Strumenti che entreranno in gioco a partire dalla ripresa frontale dell’austriaco Dietmar Brehm allo specchio. Vediamo la macchina e allo stesso tempo vediamo l’operatore che la gestisce; vediamo le operazioni e il loro risultato in tempo reale, in un’azione la cui semplicità contrasta con la sua potenza trasmissiva. Anche Christian Lebrat decide di auto-ritrarsi con la macchina, in questo caso però l’autoritratto si sdoppia grazie ad un gioco di specchi e grazie al dispositivo che lo stesso Lebrat inventa per modificare ciò che il dispositivo originario ha registrato in partenza. Da parte sua, Okuyama progetta una videocamera ad hoc per la realizzazione del suo film (come fanno anche altri autori in questa sessione) ottenendo una particolare sovrimpressione.
Attraverso tecniche di mascheratura e vetri dipinti, Yonay Boix ci ricorda che vediamo il mondo attraverso un buco in una camera oscura, in un film in super 8 montato, appunto, in camera. Pablo Marín, dal canto suo, filma con una “camera preparata” (nello stesso senso del “piano preparato” di Cage): Marín modifica la finestrella del caricatore della sua cinepresa super 8 per filmare più strati di pellicola e catturarli nella sua trampa de luz (trappola di luce). Chris Welsby usa il suo “mulino a vento” come un otturatore secondario esterno, la cui rotazione crea un effetto a specchio, in un film in cui la telecamera si espande oltre i suoi limiti fisici.
A partire da qui, tre film che traducono l’idea della camera stenopeica (il “grado zero” della macchina fotografica: una semplice scatola di cartone a tenuta di luce, con un minuscolo foro da cui la luce entra per imprimere una carta fotosensibile). Film Stenopeico, di Paolo Gioli, è stato realizzato con una particolare macchina da presa fatta in casa, che integra un sistema di avvolgimento della pellicola progettato dall’autore: un’unica ripresa in verticale imprime immagini simultanee, che si espandono nel tempo quando la pellicola passa dal proiettore cinematografico.
Grazie a un semplice meccanismo, Dianna Barrie trasforma la cartuccia Super 8 in una camera stenopeica, ed esplora le sue possibilità utilizzando le potenzialità di uno strumento ancora più antico.
Il programma termina con Philipp Fleischmann, che utilizza un dispositivo simile a quello di Gioli, ma concepito e realizzato per adattarsi allo spazio architettonico scelto per le riprese, e offrire una versione cubista del tempo e dello spazio.
LA MECÁNICA DE LA LUZ
(THE MECHANICS OF LIGHT)
Curated by (S8) Mostra de Cinema Periférico e AA++
Presented by Elena Duque with a performance by AA++ (Ángel Rueda and Ana Domínguez)