Ho trascorso quasi un anno circondato da immagini in movimento che potevano essere accolte dallo schermo di un portatile. A parte i pochi mesi estivi e il primo periodo autunnale, ho la sensazione che l’anno sia passato senza proiezioni. Ho dovuto sostituire uno schermo all’altro e, con un gesto parallelo, mi sono trovato impantanato come molti altri. Non sono riuscito a rispettare le scadenze che mi ero imposto, mentre il tempo a Parigi si è increspato in sequenze ripetute di lockdown e coprifuochi. La vita sociale è svanita, il nostro perimetro di azione si è ridotto a un quartiere e allo spazio domestico. Più che mai, le attività e pensieri quotidiani convergevano verso lo stesso schermo. (È toccante notare che, a nostra volta, abbiamo iniziato a schermarci, proteggendoci con delle maschere.)
Questo schermo è un luogo insolito, in cui non mi riconosco pienamente né dal un punto di vista professionale né da quello personale, sebbene sia il destinatario di una quantità considerevole del mio tempo. Da qui, la forma ibrida di questo contributo: un testo, alcune immagini e una composizione instabile di durate a cui si può dedicare una forma fluttuante di attenzione.